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Molte novità e nuovi scenari, cambia completamente il 4.0

By 11 Marzo 2019 No Comments

Industria 4.0 si trasforma in qualcosa di più evoluto dove la tecnologia sia al servizio della gente.

Nei capitoli dedicati al digitale che figurano nella legge di bilancio 2019, figurano diversi capitoli interessanti sull’innovazione (vd venture capital, web tax) ma il nostro interesse va qui a focalizzarsi su Industria 4.0

Non solo e non tanto per quanto viene detto e finanziato, ma per cercare di comprendere la nuova visione – notevolmente differente rispetto a quella di Calenda – sulle politiche governative rivolte alla cosiddetta Industria 4.0

Ad una prima analisi le misure dedicate alla digitalizzazione delle imprese vanno in continuità con il vecchio piano Calenda/Renzi sul 4.0. Come si disse all’epoca il primo vero tentativo governativo di avere un progetto industriale sul Paese, puntando, ai tempi della digital transformation, sulla manifattura intelligente. Il piano tra il 2017 e il 2018 ha dato buoni risultati con la ripresa degli investimenti destinati ai beni strumentali e un’espansione significativa della produzione, poco meno di 50 miliardi di €. Contestualmente vi è stata una forte sostituzione del parco macchinari nelle industrie, portando il consumo interno di macchinari per due anni di fila ben oltre il 10% di crescita degli investimenti.

Ora il Ministro Di Maio ha deciso, con il Governo, di eliminare il superammortamento, salvo che per i beni strumentali immateriali, tra cui ad esempio il cloud computing, dimezzare dal 50 al 25% il credito d’imposta per la ricerca per alcune voci di spesa. Ma soprattutto (e questo a mio avviso è molto interessante!) spostare dalle grandi imprese alle PMI l’asse principale degli interventi. Riassumendo i provvedimenti: credito d’imposta sulla ricerca, limite di spesa dimezzato da 20 a 10 milioni €, iperammortamento viene aumentato di 20 punti percentuali per gli investimenti fino a 2,5 milioni di euro e poi abbassato di 50 punti percentuali per la fascia 2,5-10 milioni di euro e di 100 punti percentuali per quella compresa tra 10 e 20 milioni di €, soglia oltre la quale non viene prevista alcuna maggiorazione del costo. Un capitolo a se trova la formazione 4.0, con agevolazione aumentata dal 40 al 50% per le piccole imprese, confermata al 40% per le medie (sempre con un massimo spendibile di 300 mila euro) e ridotta al 30% per le grandi imprese, penalizzate anche dalla riduzione del limite di spesa (a 200 mila euro).

Quindi un cambio di rotta deciso a favore delle PMI, vera ossatura del sistema Paese! Mentre il piano iniziale di Calenda era quasi esclusivamente indirizzato alle grandi imprese multinazionali, oggi alle spalle c’è un interessante, diverso pensiero.

Ma ci sono ulteriori agevolazioni nella legge di bilancio per le piccole imprese, come il voucher per i manager dell’innovazione 4.0. Un sostegno fino a 40mila € per le PMI che si faranno assistere da un consulente (persona fisica o giuridica) per la trasformazione digitale, opportunamente certificato. Cifra raddoppiabile se a farlo è una rete di impresa. E’ evidente che questa misura aiuta tutti coloro che da piccoli imprenditori colgono l’importanza e urgenza di adeguarsi alle esigenze della digital transformation, ma magari non hanno ne le risorse, ne la vision necessaria. Ecco quindi che il Governo interviene a supportare il piccolo imprenditore che potrà avere in azienda chi lo aiuterà ad intervenire nei processi, la vera sfida del 4.0 !

Credo questo cambio di approccio sia molto interessante e spero solo all’inizio di ulteriori provvedimenti, magari con dotazioni economiche di investimento maggiori a favore delle imprese. Ecco che solo rinforzando gli investimenti potremo riportare l’impresa al centro del dibattito e sviluppo del Paese. Invece stiamo ancora vedendo segnali deboli, anche se nella giusta e da noi ripetutamente auspicata direzione.

D’altronde anche a Davos, nel forum economico mondiale, si è parlato nei giorni scorsi di “reskilling“, ovvero del compito e responsabilità di imprenditori e manager, di occuparsi delle proprie persone, accompagnandole verso le nuove frontiere professionali dell’era digitale. Lo sviluppo di competenze dunque come capacità di leadership, pensiero laterale e creatività, per contrastare la riduzione dei posti di lavoro legata alla crescente automazione.

Di qui il messaggio, che già ci arrivava da diversi anni dal Giappone della Society 5.0, in cui si dice che “la tecnologia deve essere al servizio delle persone“. Tradotto significa che la formazione digitale, l’alfabetizzazione come si usa dire, diventa “reskill”, la parola d’ordine per restare competitivi sul mercato del lavoro. Certamente urgono maggiori regolamentazioni mirate a conservare i posti di lavoro e il livello salariale, e va governata con equilibrio l’avanzata disruptive della tecnologia mixando con l’esigenza di una società più equa e sostenibile.

Le nuove domande decisive tanto a Davos, quanto nel nostro Parlamento, debbono rispondere a come preparare i lavoratori all’età digitale, come colmare il gap di competenze, come convivere con l’intelligenza artificiale e come aumentare la percentuale di donne impiegate in ambito tecnologico. Queste le nuove vere grandi sfide globali alle quali anche l’Italia deve farsi trovare pronta.

Prende piede, dunque, un nuovo umanesimo digitale. Il capitale umano deve restare il primo pensiero degli imprenditori e manager delle aziende. Le imprese che avranno successo nella nuova rivoluzione industriale saranno quelle che riconoscono che le tecnologie sono un abilitatore al servizio delle persone e non un loro sostituto.

*di Gianni Potti, presidente CNCT – Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici

 

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