Fabbrica 4.0

Caro Matteo Renzi, per l’Agenda Digitale certo servono gli investimenti, ma prima devi cambiare le teste

By 26 Marzo 2014 No Comments

26 marzo 2014 Mi sono chiesto troppe volte, ma il Parlamento, ovvero i signori parlamentari, sanno cosa sia l’Agenda Digitale? Incontro, per motivi associativi, politici di tutti i colori e debbo dire che mi danno sempre ragione alle prime richieste su temi come agenda digitale, banda larga etc. Poi però regolarmente non accade nulla, o quasi… Allora ho provato ad approfondire sia a Roma, sia in regione Veneto ed allora ho capito, ho compreso: la buona volontà questa classe politica c’è la mette a dirti si, ma la verità è che mediamente non sa cosa sia questa benedetta, non conosce la road map fissata dall’Europa, non conosce soprattutto i benefici che una piena attuazione darebbe a noi imprese e ai cittadini tutti! Mettiamo pure in conto che ogni innovazione e cambiamento in questo Paese sono osteggiati perché siamo dei gran conservatori. E ciò è trasversale non solo tra i politici, ma anche tra tecnici di vecchia generazione annidati non solo nei centri decisionali dello Stato centrale, ma anche nel resto della Pubblica Amministrazione centrale e locale, così come nella proprietà e nel management di molte imprese private (non sottovalutiamo questo dato!). Certo, più del privato, la Pubblica Amministrazione è infarcita di figure professionali restie al cambiamento, troppi laureati in lettere, filosofia, storia, che spesso disdegnano la tecnologia, con un’ampia presenza di laureati in legge più attenti a non avere problemi con la Corte dei Conti che al resto del loro operato. Se quindi Matteo Renzi ha davvero a cuore il problema dell’agenda digitale, come ha più volte dichiarato, al di là delle norme di legge e dello stanziamento dei fondi, sappia che il suo principale nemico è rappresentato dall’attuale classe dirigente (non solo politica, ma anche tecnocratica!) incapace di capire e di aiutare a trovare link tra settori della PA e tra pubblico e privato. Il vero rinnovamento italiano deve essere culturale prima che anagrafico. Ma tutto ciò richiede tempo, costanza e coerenza. Buon lavoro Matteo !